“Il Covid? È stata la ndrangheta”.
Antonino Ingroia non è un cittadino qualsiasi.
È stato un magistrato in prima linea, uno che si è fatto le ossa a fianco di due icone della magistratura antimafia, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Poi è “cresciuto” e si è occupato delle controverse vicende giudiziarie di Bruno Contrada e Marcello Dell’Utri, sguazzando nei teoremi esattamente come farà anni dopo nelle sabbie mobili dell’inchiesta sulla trattativa Stato-Mafia.
Chiuso il capitolo Magistratura ha provato con la politica e un partito fai da te, quella “Rivoluzione Civile” che non resterà memorabile per i successi ottenuti nelle urne, accontentandosi di un sottogoverno durante il Governo Crocetta.
Adesso fa l’avvocato, fra un articolo del Fatto Quotidiano e l’altro e una ospitata nei salotti televisivi.
Un duro, da ammirare, per i giacobini del diritto, un talebano tagliagole per gli ultras del garantismo.
A voler evitare qualunque giudizio, è certo però che si tratti di un personaggio che conosce i fenomeni criminali e le associazioni a delinquere, come i loro meccanismi perversi.
Per questo sconcertano le sue dichiarazioni odierne sul Covid, farcite di condizionali e ipotesi che farebbero impallidire i teorici delle scie chimiche e i complottisti nostrani, sempre più impegnati a negare persino l’evidenza e attribuire ogni male del mondo a una sorta di internazionale della mistificazione.
Eccolo Ingroia.
“Se fosse vero che questa pandemia non è stata casuale ma è stata determinata, penso proprio che sia possibile che le mafie italiane e quindi la ‘Ndrangheta abbiano avuto un ruolo. I capi della mafia italiana siedono al tavolo mondiale delle mafie internazionali, quindi di quella cinese, per cui, sia pure in modo indiretto, non si può escludere che la ‘Ndrangheta abbia avuto un ruolo all’origine di questo virus, seppure indiretto“.
(Antonio Ingroia intervistato da Klaus Davi per il web talk “KlausCondicio“).
“Se fosse vero”, “penso proprio che sia possibile”, “non si può escludere”, “ruolo indiretto”, “è stata la ndrangheta”.
C’è da augurarsi che il dottor Ingroia nella sua vita abbia svolto i precedenti incarichi prendendo decisioni con un pizzico di maggiore rigore scientifico di quanto non ne mostri con queste esternazioni.
Un pizzico, proprio.
Un’intervista surreale dalla quale si evince che Ingroia avrebbe utilizzato un metodo “deduttivo” per trarre queste conclusioni/illazioni. Una roba del tipo: siccome le organizzazioni criminali traggono vantaggio dalla crisi e dal lockdown, “non si può escludere” che ne abbiano la responsabilità. Sconcertante.
Ha prove, Dottor Ingroia? Sono affermazioni che derivano da qualche informazione in suo possesso?
Corre un brivido lungo la schiena al solo pensiero che questo fosse il “metodo” utilizzato anche per affrontare vicende giudiziarie che hanno condizionato o avrebbero potuto condizionare la vita di uomini e donne, innocenti fino a prova contraria, meritevoli di un assoluto rigore da parte di chi è “giudice in terra del bene e del male”.
Non resta che sperare in un colpo di sole, in un caso di omonimia, oppure nella malattia che colpisce alcuni idolatrati paladini della giustizia-spettacolo: la mania di protagonismo, a favore di telecamera.
Le chiediamo solo un favore, dottor Ingroia: guardi pure dentro qualsiasi telecamera, riempia i taccuini di opinionisti alla moda, ci delizi con le sue fantasiose opinioni sulla pandemia, ma stia molto, molto lontano dalla ghigliottina.