I dolori del giovane Conte

Giuseppe Conte aveva immaginato un altro finale, al Senato.

Circondato dalla bulimia comunicativa di Casalino e assediato da una pletora di potenziali Ministri, sottosegretari, direttori dei Servizi Segreti, uscieri e ciambellani di corte, ha perso di vista la realtà, fatta di gente con il pelo sullo stomaco e anni di esperienza sulle spalle, per nulla disposta a muoversi sulla scacchiera secondo i desiderata di un ex concorrente del Grande Fratello.

Il Professore in queste ore ricorda il giovane Werther di goethiana memoria, che scopre la sua innamorata promessa ad altri: resta incollato alla poltrona di Palazzo Chigi nonostante in Senato non abbia avuto la maggioranza assoluta, dando segnali di debolezza proprio mentre ostenta grande sicurezza.

Il dato di palazzo Madama è oscuro solo per chi lo osservi da tifoso: 156 voti a favore, uno dei più bassi mai registrati, fra i quali quelli avvelenati di un paio di transfughi berlusconiani e quelli dei Senatori a vita, sulla cui presenza alle votazioni future è impossibile fare affidamento, oltre a quelli assegnati dal VAR di Nencini e Campolillo; il primo, socialista, blandito dal Premier nella replica finale, e il secondo reso famoso dall’aver eletto domicilio parlamentare su un albero di ulivo affetto da Xylella, per proteggerlo dall’eradicazione.

Non certo numeri (e personaggi) da giustificare toni trionfalistici o parlare di successo.

Uno scenario fra il circense e il clownesco nel quale anche Matteo Renzi, solitamente sopraffatto dal proprio narcisismo, fa la figura del “professore”, capitalizzando un consenso quasi inesistente nei sondaggi, ma presente in parlamento tanto da essere determinante per la costituzione di maggioranze solide.

L’opposizione fa l’opposizione, presentandosi compatta al voto, conscia che il cerino è in mano ad altri e non serva dannarsi l’anima per ritrovarsi senza la certificazione di un voto anticipato a dover immaginare maggioranze istituzionali o d’emergenza.

E sullo sfondo c’è ancora Sergio Silente, il Presidente con l’ingrato compito di trarre le conclusioni dopo lo spettacolo di ieri sera, le trattative poco istituzionali per accaparrarsi qualche voto, gli abbracci in diretta televisiva e la suspence degli ultimi due voti rivisti al VAR.

Diciamoci la verità, cari tifosi del Professor Conte: senza lo spauracchio di un voto in piena pandemia, senza i “giochetti” nelle fila della diaspora berlusconiana e senza i dati dei sondaggi che confermano una sicura vittoria del centrodestra alle urne, il Presidente della Repubblica avrebbe staccato la spina ieri sera, forse persino mutuando un poco istituzionale “vaffanculo” dal lessico dei grillini della prima ora.

E invece, probabilmente, abbozzerà, stretto fra tre opzioni non certo esaltanti: lasciare che Conte e Casalino proseguano la navigazione in mare aperto cercando maggioranze variabili ad ogni passaggio parlamentare, alla ricerca di responsabili, costruttori e transfughi; chiudere il Conte Bis e aprire a un Conte Ter, frutto di un matrimonio d’interessi con Italia Viva, rimescolando le carte (e le poltrone); cercare una maggioranza con un nuovo Premier, come vorrebbe Renzi e, forse, una parte del PD, per completare l’opera di disintegrazione dell’esperienza grillina, naufragata nel mare delle poltrone. Il voto resta una chimera, più per ragioni politiche che sanitarie, anche se si sprecano gli appelli alla responsabilità per mascherare le manovre di Palazzo e le trattative persino su una nuova legge elettorale.

E il giovane Conte dimostra sempre più anni, dopo ogni voto, deluso dagli amici e, comprensibilmente, dai nemici.

Nascondetegli il capolavoro di Goethe, almeno, per evitargli assonanze fra la triste fine di Werther e quella della sua presenza a Palazzo Chigi.

L’esperienza da Presidente del Consiglio è appesa a un filo.

Presidenziale.

Autore dell'articolo: Paolo Di Caro

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