Tra breve saranno 12 mesi di pandemia, con le relative chiusure, o parziali aperture.
12 mesi in cui si è intervenuto (in modo non certo sufficiente) con ristori e cassa integrazione in deroga.
Abbiamo da marzo scorso il blocco dei licenziamenti, pertanto sono oggi rimasti senza lavoro unicamente quei lavoratori che avevano contratti a tempo non rinnovati (in larga parte giovani) oppure che lavoravano per aziende che nel frattempo hanno deciso di chiudere.
La maggior parte è sospesa, tra periodi in cui ha potuto lavorare a periodi in cui è rimasta in cassa integrazione.
Il primo aprile, salvo proroghe, cesserà il blocco dei licenziamenti.
Per essere ottimisti possiamo prevedere che, nella situazione attuale, almeno due milioni di lavoratori riceveranno la temuta lettera di licenziamento, molti di questi saranno over 50, difficilmente ricollocabili, molti padri e madri di famiglia, molti con mutui da pagare.
L’eventuale risparmio pregresso è stato in larga parte ridotto da mesi in cui si è alternato il lavoro con la cassa integrazione (di media pari al 60% dello stipendio).
Questo dovrebbe essere il vero tema del dibattito politico, perché fare scorrere il tempo, magari prolungando il blocco e la Cassa, svuota le casse dello Stato ma non risolve di certo il problema.
Non possiamo subire una catastrofe simile, ma continuando così, prima o poi accadrà; da quel momento tutto potrebbe succedere, certamente però nulla di buono.
Aziende chiuse ed in crisi, milioni di disoccupati in più, crollo dei consumi e conseguenti nuove aziende chiuse e nuovi disoccupati, certa crisi sociale, impossibilità di pagare mutui e affitti, impoverimento generale.
Purtroppo non è catastrofismo ma un quadro abbastanza veritiero di quanto accadrebbe se non si studiasse preventivamente come far sì che non si verifichi il primo passaggio, ovvero i due milioni di disoccupati il primo giorno dopo la fine del blocco.
Di tutto questo però non si parla, non si leggono programmi o idee in merito, ma come gli struzzi mettiamo tutti la testa sotto la sabbia.
Ma allora che fare? Ci possono essere soluzioni? Politica, corpi intermedi organizzazioni sindacali vogliono iniziare a pensare al da farsi? Il primo aprile è domani e rinviare sarebbe semplicemente prendere tempo, se non si affronta seriamente la questione e non si cerca di dare qualche risposta.
Occorre essere pronti ed avere già dei fondi importanti destinati a questo, occorre di certo favorire le aziende che fanno rientrare i loro lavoratori dalla Cassa integrazione e che non licenziano, ma favorire seriamente, abbassando, per lo meno fino a fine anno, in modo significativo il costo del lavoro.
Per fare un esempio un’attività che ha oggi sei persone a busta paga, che,l operando a scartamento ridotto ne ha una parte (o tutti) in Cassa, se il primo aprile decidesse di fare rientrare tutti a lavoro dovrebbe pagare le sei persone come fossero tre fino a dicembre, per evitare ne licenzi almeno un paio e per permettere di ripartire.
Non sappiamo se azioni simili possano servire, e non sappiamo se basterebbero, ma certo è folle che il tema del lavoro e il futuro dei lavoratori non sia al centro del dibattito politico in una fase così delicata della vita della Nazione.