Si lo sappiamo, avevamo promesso di occuparci di concorsi o sostegno alla puntata successiva. Lo faremo, ma prima vogliamo capire cosa intenda fare il MI con le spinose questioni, diverse e allo stesso tempo legate.
Una veloce parentesi sui concorsi è doverosa: che fine ha fatto quello ordinario?
E chi si vuole prendere in giro esattamente con concorso per le materie STEM?
Pochi posti e fretta di chiudere una evidente operazione pubblicitaria che non risolverà alcun problema, anzi porterà alla creazione dell’ennesima graduatoria di merito.
Ci torneremo, ah se ci torneremo presto…
Oggi però desideriamo concentrarci su una categoria che negli anni è stata ammaliata, conquistata, illusa e infine abbandonata.
Ci riferiamo ai Diplomati Magistrale, argomento principe nel mondo scuola almeno per un quinquennio e di colpo caduti nell’oblio. Riassumiamo in modo sommario la storia a beneficio di chi non ne fosse a conoscenza.
La nostra Costituzione sancisce che per accedere ai posti a tempo indeterminato nella Pubblica Amministrazione serva il superamento di un concorso, aggiungendo la frasetta magica “salvo i casi previsti dalla legge”, che in fin dei conti può voler dire tutto o niente.
Il Diploma Magistrale ante 2001 ha un valore abilitante (unico in Italia, grandissima cosa tanto che si è deciso di eliminarlo): significa che, una volta conseguito, si possa entrare in classe alla scuola dell’infanzia e alla primaria (ex elementare) e fare lezione.
Da qualche parte nel territorio nazionale un avvocato avrà fatto 2+2 ipotizzando che potesse trattarsi del famoso “caso previsto dalla legge”.
E così ad un certo punto la storia ha deviato il regolare flusso temporale prendendone uno alternativo; ciò è avvenuto ad occhio e croce quando le Graduatorie Permanenti (nate dal concorsone del 1999) sono state trasformate in Graduatorie ad Esaurimento (GaE, unico canale in quella fase per il reclutamento dei posti di ruolo e degli incarichi annuali).
Siamo nei primi anni dieci del 2000 e pochi credono a questa avventura, ma i più temerari sono quelli che otterranno i maggiori vantaggi.
Si, perché a sorpresa la magistratura accetta tale interpretazione e ammette nelle GaE i ricorrenti che, con sentenza passata in giudicato, vengono negli anni seguenti immessi in ruolo.
La scossa è di quelle capaci di fare tremare la terra e cosi centinaia di migliaia di docenti prendono la strada dei tribunali amministrativi di tutta Italia ingolfandone le aule; ma anche il Ministero dell’Istruzione si accorge della pericolosa falla e decide di muoversi in opposizione.
Il TAR allora cambia rotta e decide di non decidere, ammette in GaE i ricorrenti, ma con riserva, rimandando la decisione sul merito al Consiglio di Stato.
Ci troviamo nel 2014 e l’opinione comune è che la strada tracciata sia quella corretta e non vi saranno sorprese; in realtà, però, qualcosa in segreto sta cambiando.
I giornali e le tv iniziano a parlare del valore del titolo, se sia giusto che i diplomati di tanti anni fa debbano passare avanti alla nuova generazione di laureati, creando una pressione che difficilmente poteva essere ignorata.
E così il Consiglio di Stato con due sentenze datate fine 2017 e marzo 2019 decide di limitare il valore abilitante del Diploma Magistrale: serve per le supplenze, ma non basta per accedere ai posti di ruolo.
E ora che succede? Un disastro.
Docenti licenziati, precari depennati dalle graduatorie, contratti a tempo indeterminato che vengono risolti al 30 giugno dell’anno corrente, insegnanti che rinunciano al ruolo per la paura di ricevere in corsa il depennamento con conseguente annullamento dell’anno di prova.
Si salvano solo i primi coraggiosi ricorrenti che (come detto) benedicono il proprio coraggio che li ha portati ad avere una sentenza definitiva e intoccabile.
Bene, e ora?
I titolari di viale Trastevere provano a immaginare sanatorie che hanno l’effetto di ingarbugliare ancora di più la matassa generando ulteriori problemi.
Il concorso straordinario 2018 ideato e voluto dal ministro Bussetti crea una nuova enorme graduatoria che funziona al nord dove le altre sono esaurite, ma diventa il terzo canale al sud con le GaE piene zeppe di aspiranti ventennali, e quella del concorso ordinario 2016 con i vincitori ancora in attesa (nel frattempo è scaduta la validità triennalestabilita dal bando così viene prorogata per altri 2 anni).
Un concorso reso ancora più illogico dalla scelta di fare partecipare anche i docenti di ruolo creando così un ulteriore canale per la mobilità, ma limitando di molto le possibilità dei precari con un punteggio di partenza di gran lunga inferiore rispetto ai colleghi con più anni di servizio.
Un concorso nato per risolvere un problema diventa a sua volta problema (sulla scelta di farlo non selettivo e cioè senza bocciature potremmo stare qui a scrivere per ore).
Non è andata meglio con la Azzolina, nonostante il lodevole e riuscito tentativo di digitalizzare le graduatorie per le supplenze che hanno preso il nome di GPS e permettono ai precari di concorrere a tutte le supplenze utili nella provincia.
Anche lei ha puntato su un nuovo concorso ordinario bandito a fine 2019, bloccato dall’emergenza sanitaria, di cui non si ha più notizia da mesi ormai.
Un concorso che vedrà la nascita di una nuova graduatoria, il tutto mentre il MEF autorizza solo 70 mila assunzioni per il 2021; vi sembrano tante? Provate a fare un calcolo veloce dividendo il dato per i 4 ordini di scuola, poi per il numero delle regioni e infine per le province del territorio che vi interessa, poi fateci sapere che ve ne pare.
Per continuare a dare i numeri nel 2020 furono 84 mila, e questo a sentire il Ministro Bianchi sarebbe dovuto essere l’anno della svolta per i precari, anche se va detto che in pochi ci avevano davvero creduto.
Ah, per completare l’equazione aggiungo il dato di 122 mila cattedre assegnate ai supplenti nell’anno scolastico appena concluso.
Per tornare al tema del pezzo la questione resta non risolta e anzi abbandonata, a parte qualche sentenza amministrativa qui e lì che ogni tanto apre spiragli timidi e mai suffragati da solide iniziative.
I sindacati, di fatto, al netto delle dichiarazioni ad effetto per dimostrare di non aver perso smalto e combattività, hanno gettato la spugna da tempo suggerendo ai propri assistiti di evitare altri ricorsi.
Noi non sappiamo se i Diplomati Magistrale abbiano diritto a chiedere il posto di ruolo, non possiamo e non vogliamo entrare nel merito perché non abbiamo competenze e conoscenze adatte.
Crediamo però che dopo 10 anni sia giunto il momento di prendere una decisione politica che metta un punto su una storia che coinvolge centinaia di migliaia di lavoratori della scuola, una scuola che si è retta anche sulle loro spalle. Quale sia o potrebbe essere questa soluzione non lo sappiamo davvero, ma di certo non può essere l’oblio, non possiamo certo cancellarli con un colpo di spugna.