Politica, leadership e comunicazione.
Il parricidio come strumento di emancipazione e il futuro dei leader.
Il parricidio in politica è diventata quasi una moda, una necessità figlia di cinico realismo, in continuità illogica con la stagione dell’improvvisazione e dell’ incompetenza al potere.
In un sistema molto più che liquido, ai limiti della rarefazione, l’unica preoccupazione di alcuni leader è di congelare le radici profonde e le storie troppo ingombranti, per tirarle fuori solo all’occorrenza, facendole sciogliere davanti ai fedeli come il sangue di San Gennaro.
Feticci, da guardare e adorare, in misura proporzionale alla loro scarsa pericolosità sociale: la saudage terzomondista a sinistra, l’irriducibilità democristiana, gli Almirante e i Berlinguer che si stringono la mano, i cortei, il Sessantotto, il contro Sessantotto, la violenza politica, il superamento del neofascismo.
Per la nuova politica nulla di più che archeologia da tubo catodico, in bianco e nero, senza neppure il gusto retrò del modernariato o il diritto di citazione.
Le ideologie sono morte, per fortuna, mentre le idee forti sono ingredienti di una maionese impazzita: frullate e disomogenee, buone solo se a uso e consumo del culto leaderistico della personalità e della sua rappresentazione sul palcoscenico dei social, alpha e omega della comunicazione moderna.
Il parricidio, dunque, diventa come il sacrificio del vitello grasso, necessario per ingraziarsi gli dèi del consenso e delimitare con rigore i confini del proprio ego, senza fastidiose intromissioni.
Il leader non può avere “padri politici”, ma neanche cugini, pena la sua derubricazione a comprimario, mero interprete di spartiti scritti da altri, in altre epoche, per altre esigenze.
Le paternità politiche, soprattutto quelle ingombranti, sono vissute come millennial e post millenial vivono i genitori “boomer”.
È meglio non avere confronti immediati e conseguenti ansie da prestazione, anzi: liberarsi è catartico e, come nella mitologia greca, l’eroe compie il delitto quasi involontariamente, come guidato dal fato.
E a quel punto è finalmente libero di far ripartire la storia da se stesso.
È un corollario della legge del tritacarne virtuale, quella che costruisce fenomeni e li distrugge nel giro di qualche mese; quella del grillismo unica igiene del mondo o del sovranismo chiassoso e parolaio, tanto più solido quanto più legato a parole d’ordine urlate, sguaiate, facili da gorgheggiare.
E ci cascano tutti, forse perché è eccitante vedere scorrere il contatore dei like, innalzarsi le percentuali di voto virtuale, tanto quanto leggere sulle proprie bacheche consensi con la bava alla bocca e occhi iniettati di sangue.
Molto più difficile è costruire una classe dirigente, o anche solo immaginarla, facendo tesoro delle esperienze del passato o considerando alcuni processi come frutto di scelte ed evoluzioni altrui: roba da dinosauri della politica, esercizio fuori moda di serietà e coerenza, rituale tardo-bizantino da comunitaristi virtuosi che imporrebbe di attribuire la giusta importanza al consenso virtuale e gettare nella mischia competenze e professionalità, anche se malauguratamente prive di un qualsiasi appeal digitale.
Servirebbe, insomma, una cultura di governo vera, duratura.
I nuovi leader, invece, sentono fortissima l’esigenza di liberarsi dai loro fantasmi, alla prima occasione utile: Di Maio rinnega Grillo, Di Battista sfancula i 5 Stelle, Renzi è nato post, Salvini si guarda già dai neo-leghisti che lo rinnegheranno, la Meloni fa partire la storia, la sua e quella del proprio mondo, dall’anno zero della cosiddetta Generazione Atreju.
In questo scenario desolante di politica anti-vichiana, tutto inizia e finisce senza una logica, facendo fare la figura degli statisti, ohibò, ai vecchi guardiani della riva sinistra governativa e ai tecnocrati senza profilo facebook, eroi riluttanti e furbissimi di ogni transizione.
L’avviso (non richiesto) ai naviganti, lanciati a fari spenti nella notte, è chiaro: mentre siete impegnati a riscrivere o cancellare la storia, a vostro uso e consumo, la storia, niccianamente, ritorna.
Per chi ama la Politica è un amaro déjà vu: questa storia finirà sempre con la marcia trionfale, fra due ali di folla festante, dei cingolati della tecnocrazia.
Il parricida, in fondo, è solo un suicida inconsapevole.