Premessa metodologica: leggere qui ⬇️ https://www.repubblica.it/cultura/2023/07/23/news/racconto_alain_elkann_sul_treno_per_foggia_con_i_giovani_lanzichenecchi-408733095/amp/
Il treno, la giacca stazzonata di lino, Proust, il Financial Times: più che un viaggio verso la Puglia, quello di Alain Elkann sembra un romanzo manierato, a metà fra Liala e le cronache da Capalbio.
Un corsivo incattivito per raccontare questa traversata nel deserto, senza nulla concedere alla pietas, all’indagine sociologica, alla semplice constatazione che a quell’età parti in estate per divertirti, e “sti cazzi” delle affettate paturnie di un incanutito ultra-settantenne.
Pensa che fastidio devono essere stati questi ragazzotti neppure manco troppo del volgo, con le loro firme in bella mostra e un biglietto, addirittura, di prima classe: e chi glielo dice al bell’Alain che ormai con l’Economy e la Super Economy puoi ritrovarti in Prima persino i figli dei tuoi liberti?
Un viaggio infernale, raccontato senza l’ombra di pudore sulle colonne di Repubblica, a sancirne l’emancipazione come quotidiano di quella terra di mezzo fra l’aristocrazia snob e l’alta e media borghesia, male acculturata.
In quella carrozza ci sono ragazzi normali, forse, forse no, solo un po’ maleducati, per i loro diciassette anni: qualche decibel di troppo, l’euforia per una vacanza dove si spera di “cuccare”, qualche parolaccia.
Troppo per uno che sprezzantemente apre un libro di Proust, declamandone il titolo in francese, con un tono di voce quasi parlasse del Kamasutra, in segno di sfida, mentre controlla le azioni e i titoli in Borsa, per eccitarsi alla minima fluttuazione col segno positivo.
Cosa spinge un attempato e canuto scriittore ed intellettuale, Iddio ci perdoni, a vergare una robaccia così schifosamente classista, snob e sprezzante dell’uomo comune?
Cosa spinge un Elkann, uno con un cognome-simbolo del capitalismo familistico tricolore, a pensare, solo pensare, che avrebbe avuto una platea di lettori disponibili a giudicare positivamente questa articolessa con la puzza sotto il naso?
Lanzichenecchi, li chiama, come farebbe un anziano di Sessa Aurunca indurito dalla demenza e tarlato dai luoghi comuni della senilità.
Barboni, negri, accattoni, pezzenti, lanzichenecchi.
Il corto circuito del pensiero radical, più choc che chic, è la triste parodia messa in scena da un essmplare di maître à penser frequentatore dei salotti-bene e delle consorterie da ZTL.
Sceglie Repubblica, la testata del figlio editore, ritendola, inutile dirlo, titolata ad accogliere il proprio sfogo da paludato cortigiano dell’intellighentia modaiola, provocando l’imbarazzo degli stessi giornalisti.
Nessuno lo saluta, a treno giunto nelle lande foggiane, povero Alain.
Nessuno si accorge della giacca di lino stazzonata, della Recherche, del Financial Times, di cotanta ostentata alterità.
Insomma, da una parte gli Italiani, belli, brutti, educati, maleducati; dall’altra quelli come Elkann, alieni sbarcati dal pianeta di una presunta ricercatezza dandy, radical e raffinatamente, duole per loro, di sinistra.