Come i campioni di cubo di Rubik, Jannik gioca ogni partita come se avesse il cronometro in testa, cercando di terminarla nel più breve tempo possibile, con le facce e i colori ciascuno al proprio posto.
Questo è il tennis del numero due del mondo, ormai proiettato, a soli ventidue anni, a contendere a Djokovic l’inimmaginabile vertice del tennis mondiale: un caleidoscopio di talento, potenza, solidità mentale e cultura del sacrificio.
A volte fa paura, come qui a Miami: una macchina da tennis capace di adattare gioco ed emozioni sulle debolezze e i punti di forza degli avversari, costringendo gente come Medvedev, il russo sornione e un po’ irridente, ad una costosissima seduta di analisi, consumata in meno di un’ora e dieci di gioco.
Eppure uno così, uno come Sinner, lo aspettavamo da decenni, senza neppure la certezza che sarebbe mai arrivato.
Abbiamo navigato i mari in tempesta dei nostri migliori ad avvicinare il numero cinquanta ATP, abbiamo gioito delle follie di Fognini, genio e sregolatezza che ha tirato la carretta nell’era di mezzo, quella che ha preceduto l’attuale età della racchetta d’oro.
Pensate quanto sarà bello da vedere, Jannik, sulla terra rossa di Parigi o sui verdi prati chiazzati di fragole con panna, a Wimbledon, nel cuore dell’All England Lawn Tennis and Croquet Club.
Fra un the delle Cinque e i polverosi rituali dello Slam più fascinoso irromperà il pel di carota candidato a riscrivere la storia dello sport italiano.
Arriverà anche lì, ne siamo certi; anche fosse sprovvisto del rullo compressore che ha usato in questo torneo caldissimo e glamour di Miami, a noi basterà quel sorriso, quella concentrazione, questo tennis meraviglioso giocato da un ragazzo meraviglioso.
Italiano, peraltro.
Jannik Sinner da San Candido.
Professione: numero uno.